domenica 17 maggio 2015

Le prove invalsi che invalidano la scuola


12 Maggio 2015
. Cobas, Unicobas, Autoconvocati Roma, Usb, Ata e Usi scendono in strada indicendo uno sciopero di tale portata da non poter risultare superfluo a nessuna testata giornalistica, cartaceo o digitale che sia. Quanto a numero di aderenze e paralisi del sistema abbiamo pochi precendenti negli ultimi anni, dove un'intera classe sociale (quella degli insegnanti e degli apparati pubblici e assistenziali dell'istruzione) andava scivolando inesorabile verso un baratro di cui non si scorgeva neanche il fondo.
Da anni ormai la politica italiana è intenta ad esacerbare dal sistema scolastico ogni tipo di burocrazia e soprattutto di responsabilità nei suoi confronti. Con un spirito sempre più liberista, cerca in tutti i modi di sgavarsi da questo tozzo macigno, di forte intralcio alla scalata economica richiesta dall'EU. Con un paese sempre più ossessionato da percentuali economiche quali spread, btp, bund, il 3% sul pareggio di bilancio e chissà quanti altri indici di reputazione sul mercato azionario europeo e globale, i governi italiani tentano di privatizzare l'istruzione, di renderla asettica ed elitaria. Ostracizzando ogni tentativo di discorso tra insegnati e istituzioni si rischia di coltivare diffidenza verso quest'ultime anche da chi dovrebbe farne le veci, portando in aula il rispetto e la conoscenza dei valori giusti.

Dal 2007 gli studenti della scuola media inferiore sono sottoposti alle prove invalsi.
Un sistema che valuta i propri studenti attraverso delle pratiche del tutto sorpassate e farraginose, che non tengono conto delle grosse differenze socioculturali e geopolitiche degli esaminati, ma che si limita a fissare un certo target entro cui sei dentro o fuori, è un sistema troppo fedele a quei caratteri tradizionalistici che l'hanno fatta padrone fino ad oggi. E' questo un esempio lampante del ristagno della pubblica istruzione che ci aiuta a definirla meglio, nei pregi e nei difetti.
Lo stesso adeguamento di Renzi, detto "La buona scuola", non può essere definito un passo avanti, perché non predispone ad alcuna rivoluzione sostanziale ed è proprio in campo digitale che la fallacia viene a galla. Il premier dichiara "molti studenti hanno telefonini su cui sono contenute più informazioni di quante ne avesse un capo di governo negli anni '90 ", un chiaro messaggio che il governo non stanzierà alcun fondo per l'adeguamento tecnologico dell'insegnamento e qualora vi fosse già un qualsivoglia potenziamento in questi termini, l'istituto non sarà agevolato e sostenuto a perseguire verso la digitalizzazione degli strumenti didattici. Possiamo dunque considerare questa legge il consuetudinario adeguamento del mercato del lavoro, per dare un pò di spazio a quella moltitudine di precari e disillusi che hanno perso le speranze di riscuotere il giusto compenso per i propri sforzi.
Nel momento in cui la stragrande maggioranza dei ragazzi in età adolescenziale (i cosiddetti nativi digitali) vive un rapporto quasi paritetico tra la vita fisica e quella digitale è paradossale non intervenire in tal senso. La scuola ha bisogno di evolvere, di sviluppare nuovi e più soddisfacenti, dal punto di vista puramente d'utilizzo, strumenti didattici. Per farlo ha bisogno di un personale fortemente preparato all'uso di tali dispositivi che sia in grado di accogliere queste innovazioni con grande professionalità e crescere assieme ad essi, con "release" continue e, in alcuni casi, difettose ma necessarie.
La scuola degli invalsi non diverrà mai 2.0 se non è pronta a convertirsi all'e-learning

Fonti: Panorama
Alessandro Grieco

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